PALAZZO ARESE BORROMEO (8

SALA VULCANO e SALA MONARCHIA

Corrado Mauri

La Sala successiva Sala in seguito al salone dove presente vi è il Trucco, anche questo era un gioco simile al biliardo, oggi Sala di Vulcano, presenta sempre nella volta la raffinata decorazione rococò mentre nel medaglione centrale, circondato sempre da una cornice in stucco e sempre diversa rispetto alle precedenti, è rappresentata la Cacciata di Vulcano dall’Olimpo.  

La scena rielabora liberamente le ripetute cadute di Efesto-Vulcano dall’Olimpo, prima scaraventato alla nascita nell’oceano dalla madre Giunone perché troppo brutto, poi dal padre Giove, che in un momento d’ira, avendo Vulcano difeso la madre, lo scaglia sull’isola di Lemno dove viene poi curato dai suoi abitanti, che avranno per lui un culto particolare. Pur brutto, diviene il marito di Venere, ed è significativo questo incontro degli opposti. Qui abbiamo la presenza di Venere e Marte, ai quali aveva teso una trappola con una rete invisibile sapendo, su suggerimento del Sole, di un loro incontro e offrendoli poi al dileggio delle altre divinità. Colpevole di questo, viene punito e ributtato sulla terra.  Cade in Sicilia e nel luogo dell’impatto scaturisce il Vulcano Etna, nel quale il dio farà la sua fucina e creerà le armi di Enea e di Achille: non a caso era il protettore degli artigiani e scultori.   

Osservando come è composta la scena abbiamo al vertice Giove giudice che assume, però, una espressione benevolente e non severa, tant’è che tiene i fulmini ben legati da due frecce avvolte, è praticamente seduto sul suo animale simbolo, l’aquila, ed appena sotto, più avanti, c’è Venere, con atteggiamento di implorazione per una sentenza lieve, coronata alla testa di ulivo; al busto porta una specie di cintura argentea con caduceo ed un cupido, abbracciato alla madre, anche lui cinto nel capo di ulivo. A destra è dritto in piedi Marte con tanto di lancia nella destra e con la sinistra appoggiata allo scudo sul quale è incisa un’immagine solare. A gamba tesa spinge, caccia in giù il povero Vulcano.  Questi è già in fase di caduta, infatti è raffigurato a rovescio, apre le braccia e dalla cinta pende il suo strumento di lavoro: un martello.  Ad accentuare il senso di discesa concorrono le linee diagonali discendenti dell’asse del corpo di Vulcano e della nuvola centrale che sottolinea anche lo stacco, il senso di separazione e il precipitare.

Un puntuale accorgimento compositivo attuato dal pittore sulla cui identità ci sono dei dubbi, infatti nell’inventario del 1762 è scritto sotto l’intitolazione della Sala: medaglia però non si sa il pittore, F. Frangi, sottoscritto da Spiriti, fa il nome di Federico Bianchi, che vedremo lavorerà sulla Loggia, ma personalmente ho delle perplessità, in particolare nell’uso della luce con i punti più luminosi privi di segni di contorno, che è tipico invece del Bianchi ed alla grande attenzione alla resa anatomica, in specie nella bella figura di Vulcano, che mi suggeriscono di pensare a Ercole Procaccini il Giovane, tanto più che il Federico Bianchi era genero del Procaccini, chi ci nega una possibile collaborazione, forse nella più rigida figura di Marte ?

Ma abbiamo un altro particolare alquanto intrigante, ed è come abbiamo già visto altre due volte, nelle Sale di Semele e dei Giganti: la figura di Giove ha una corona in capo, nella sua iconografia tradizionale dire che è raro è dire poco. La spiegazione più plausibile è che Bartolomeo abbia voluto compiere un omaggio al proprio sovrano Filippo IV, identificandolo con la massima divinità della mitologia classica e non è poco ma, ulteriore pensiero gentile, qui lo ritrae più bello, è risaputo che gli Asburgo non brillavano per bellezza anzi, ed allora è come un doppio omaggio.

In sintesi, riscontriamo un insieme di elementi che nella narrazione portano a sottolineare una sentenza (non dimentichiamo che Bartolomeo III è Giudice) mitigata tramite intervento supplichevole, che indica la capacità dei potenti di manifestare benevolenza e saper dosare le proprie azioni con misura e controllo.

Anche in questa Sala è presente la decorazione rococò, in cui sono inseriti elementi araldici come gli anelli con punte di diamante Borromeo, due animali araldici, il liocorno ed il dromedario accovacciato nel cesto, sempre Borromeo, o lo stemma dei Grillo in riferimento alla contessa Clelia Grillo, moglie di Giovanni Benedetto Borromeo Arese, genitori dello sposo Renato III. Dobbiamo riscontrare come anche nella decorazione settecentesca venga rispettata la scelta seicentesca di non ripetere mai gli elementi decorativi nel passaggio da una stanza all’altra, qui abbiamo insieme ai fiori della frutta e verdura che nella Sala dei Giganti non sono presenti.

Recentemente, nel settembre 2016, l’Associazione Vivere il Palazzo e il Giardino Arese Borromeo,   nell’ambito del progetto di riallestimento filologico di alcuni ambienti, ha collocato alle pareti, non nelle lunette dove erano collocate nel seicento, le riproduzioni ad alta fedeltà di dodici ritratti ottagonali di Cardinali, esposti all’Isola Madre, che mostrano i contatti con la corte pontificia[1].  

Sala Monarchia

Nel percorso di visita l’ultima Sala del pianterreno, sicuramente non ultima per importanza, è dedicata alla Monarchia, Sala in seguito al Vestibolo che mette alla nuova Scala. È molto probabile che questa sua posizione sia l’inizio di un particolare tipo di percorso che offre, di nuovo, l’incontro e la conoscenza di altri significati.  Infatti, vi si può accedere dall’atrio, che la precede, entrando da sotto il portico interno o degli imperatori o dalla scala (nel Seicento Scala di Sasso, poi demolita come vedremo) che comunica col piano nobile, permettendo così una ulteriore possibilità di suggerire valenze culturali e sociali ed in questo caso direi politiche.

Ciò appare abbastanza chiaramente. Anche qui vediamo come la composizione immediatamente ci chiarisce la situazione evidenziando il vuoto, in diagonale, che separa le figure in alto e l’altra nell’angolo destro in basso. Chi sono i personaggi presenti? La divinità sulla nuvola avvolta nel panneggio bianco, che ricordiamolo simboleggia sempre le virtù Purezza e Castità, è Astrea, divinità che nell’epoca d’oro distribuiva generosamente Giustizia, Virtù ed Amicizia ma, preso atto del cattivo comportamento degli uomini, salì in cielo e formò la costellazione della vergine, promettendo di tornare quando gli atteggiamenti umani sarebbero tornati alla bontà. Qui ritorna a segnare una fase positiva visto che è in colloquio, evidente dalla gestualità, con un bimbo che indossa un abito verde, segno di speranza, il quale ha alle spalle il piccolo Cupido che alzando il braccio regge due ali dell’aquila, lo stemma degli Arese, dunque il bimbo è, di nuovo, Giulio II Arese. Non, come si insite a dire, Carlo II il figlio ed erede di Filippo IV di Spagna, che qui non c’entra proprio per niente.

I due putti dietro Giulio II si incrociano e tre loro braccine vanno verso Astrea a sottolinearne l’importanza. La divinità, guardando verso il piccolo Arese, col dito indice mostra la donna in basso, mentre Giulio II ha  un braccio che va verso la dea con cui parla, l’altro verso la figura femminile. Chi è costei? Porta una corona in testa, è seduta non su un trono ma su una roccia malamente sbozzata ed ha una espressione triste. È la raffigurazione della monarchia spagnola, che in questi anni, siamo oltre la metà del Seicento, si trova in situazione precaria e negativa, essendo in grandi difficoltà con la Francia ed il Portogallo e agitata da sommosse interne. La situazione si stabilizzerà dopo la Pace dei Pirenei del 1659. Difronte a lei c’è un amorino che tiene due levrieri bianchi simboli di fedeltà, più indietro altri due amorini si abbracciano e baciano in segno di amore.  Mettendo insieme le varie componenti il messaggio è abbastanza chiaro ed in questo caso Bartolomeo non si

rivolge ai suoi ospiti, ma addirittura al suo sovrano Filippo IV, il quale se vuole ritornare in una situazione nuovamente positiva si deve avvalere dell’apporto e contributo degli Arese, sudditi fedeli e di comprovata capacità. Ecco il significato politico a cui accennavo precedentemente, in Sala Aurora alla dinastia degli Arese si augura e si anticipa all’erede Giulio II, accortamente, una carriera luminosa, in Sala Vulcano una sentenza valutata ed equilibrata e qui il valore della presenza e delle capacità degli Arese e del loro essere indispensabili per ottenere il meglio.

Non meno significativa la cornice in stucco, indubbiamente la più bella del piano terra, e, non a caso, vista la valenza del soggetto dell’affresco non solo è adeguata ma ne conferma e  sottolinea il significato. La raffinatezza degli intrecci decorativi si concretizza nella delicata modellazione dei quattro volti di putti con le ali di lato che possono assumere una valenza di carattere religioso quale immagine di cherubini, invece in riferimento alla mitologia classica simboleggiano la sapienza. E i doppi significati piacevano molto al nostro Presidente.

Un’altra differenza in questa Sala è nella decorazione settecentesca che qui, soprattutto nelle vele, perde la linearità delle sale precedenti e viene realizzata “a pergamena”, a fascia più larga con delicati passaggi di tenui colorazioni. Purtroppo le condizioni della pittura sono molto precarie e resta difficile una attenta valutazione.

Riflessione immediata è capire il motivo di queste variazioni: nella tipologia di cornice e nella decorazione settecentesca che, guarda caso, in questa Sala segna una variante, rispetto alla altre Sale, alla distanza di più di settant’anni. Tenendo conto della indubbia pregnanza del significato dell’affresco diventa praticamente logico che si sia voluto rimarcare la sua rilevanza e suggerire, di conseguenza, anche una modalità di lettura delle Sale successive, tenendo conto del valore politico, come ho detto prima, del diverso percorso di visita. Mi piace pensare che si sia compreso questo nel settecento, mantenendo, così, la differenziazione.

In merito all’autore dell’affresco, nell’inventario, a cui facciamo sempre riferimento, è scritto Medaglia di Stefano Montalti cioè Giovanni Stefano Doneda il Montalto, ma alcune modalità fanno propendere per Giuseppe, il fratello di Giovanni (Sala Aurora), come proposto da F. Frangi e dallo Spiriti, in particolare per la caratterizzazione delle fisionomie. Osservando i tre volti della Solitudine (di Giuseppe nel Ninfeo), di Astrea e della Monarchia è evidente l’identica modalità nel costruire occhi, nasi, bocche e le stesse capigliature, inevitabile dire che siamo come di fronte a tre sorelle, anche se lo stile si avvicina a quello del fratello nel lasciare ampio spazio alla luce che costruisce i pieni volumi, accentuando le rotondità.

Nella Sala è stato collocato l’Albero genealogico, precedentemente esposto sulla Loggia, che inizia dalla data del 1652, anno del matrimonio di Giulia Arese con il conte Renato II Borromeo. Il loro figlio Carlo IV, alla morte del nonno Bartolomeo, in suo onore, aggiunge al cognome Borromeo quello degli Arese, dando inizio alla nuova denominazione ufficiale della nobile famiglia, la cui genealogia è qui inserita.  Pur apparendo antico, l’albero genealogico è stato dipinto dal conte Guido Borromeo Arese negli anni Venti del novecento.


[1] Massimo Rebosio “La Sala dei Cardinali”, Monografia dei “Quaderni di Palazzo Arese Borromeo” n° 10, Associazione Vivere il Palazzo e il Giardino Arese Borromeo, Cesano Maderno 2016: www.vivereilpalazzo.it