PALAZZO ARESE BORROMEO (4

SALE PIANO TERRA.

Corrado Mauri

Prima del percorso di visita del piano terra è opportuno prendere visione della relativa pianta onde capire le varie localizzazioni, ma in particolare comprendere una delle caratteristiche fondamentali di questo Palazzo, che è la notevole possibilità, come vedremo, di vari percorsi interni a sottolineare diversi significati culturali o politici. Le doppie frecce arancioni segnano le possibilità di ingresso/uscita per la visita.

Vestibolo, Sala Ritratti Arese, Sala Semele e Sala Neoclassica una grande porta a doppio battente, nel lato nord del cortile a lato del portico d’ingresso, al Vestibolo.

Questo ambiente era l’ingresso principale in cui venivano accolti gli ospiti, con la possibilità di accedere agli ambienti di rappresentanza del piano terra o salire al piano nobile, oltrepassando il  grande portone difronte all’ingresso, tramite lo Scalone grande, attualmente non agibile in quanto necessita di restauro, come del resto tutte le sale dell’ala nord a cui si accede dallo stesso Scalone.

Nella Sala ritroviamo un bel camino che all’interno presenta due sedili in pietra e sulla cappa l’emblema dell’Humilitas Borromeo e sul piccolo fronte gli anelli con punta di diamante sempre elemento araldico Borromeo. L’Humilitas lo ritroviamo anche affrescato, a metà settecento, nella volta insieme alle Ali Arese. Essendo luogo di accoglienza ecco che diventa significativa ed opportuna la puntualizzazione araldica.

Alle pareti erano appese armi da fuoco, mentre è importante rilevare che, probabilmente per la sua funzione, il pavimento si presenta con grossi medoni di pietra, diversamente dal resto del Palazzo in cui è costantemente presente un pavimento in cotto. A tal proposito è importante rilevare come questa decisione sia particolarmente significativa nelle scelte di Bartolomeo III, che avrebbe potuto utilizzare altri materiali, anche marmi, per i vari pavimenti, le sue disponibilità economiche lo avrebbero permesso tranquillamente, ma sceglie il cotto: il materiale più semplice possibile, il pavimento da “contadino”.  Non è con il valore dei materiali che si mostra la vera ricchezza del proprietario del Palazzo, questa verrà mostrata e compresa tramite  lo straordinario apparato degli affreschi che esprime il pensiero, i concetti dell’Arese. Bartolomeo III ci dice che la vera ricchezza è dentro di noi, nella nostra capacità di riflettere, conoscere, studiare la grande cultura del passato e nell’esperienza che quotidianamente conduciamo e che dobbiamo mettere continuamente a frutto.

Dal Vestibolo verso est e nord abbiamo tutta una serie di locali di servizio che sfociavano in due cortiletti, e davano accesso anche alle cantine, in cui sono presenti ulteriori elementi di epoca antecedente. Si accedeva anche alle corti agricole[1], nonché ad altri due costruzioni particolari la Ghiacciaia e sotto questa la Vinaia. Questo ampio complesso di ambienti ci dice che il Palazzo era costantemente abitato ed aveva una importante attività agricola oltre, ovviamente, a quella di supporto alle esigenze padronali e di rappresentanza degli Arese e dei Borromeo Arese poi, che erano decisamente impegnative e continue.

[1] D. Santambrogio “La Corte rustica di Palazzo Arese Borromeo”, Monografia dei “Quaderni di Palazzo Arese Borromeo” n° 10, Associazione Vivere il Palazzo e il Giardino Arese Borromeo, Cesano Maderno 2017

Nella denominazione delle Sale, utilizzo, in neretto, il nome usato oggi, mentre in corsivo è la denominazione fatta nell’Inventario Baselino, del 1762, quello più accurato e particolareggiato oggi disponibile.

Seguendo la sequenza, quasi obbligata delle Sale, tranne la variante per l’Appartamento alla mosaica, entriamo nella Prima sala in seguito al Vestibolo, poi detta del Camino ed ora dei Ritratti Arese, a seguito del recente riallestimento su progetto e realizzazione dell’Associazione Vivere il Palazzo e il Giardino Arese Borromeo (con il contributo della Provincia di Monza e Brianza e della Special Flanges S.p.A. di Cesano Maderno), tramite le riproduzioni ad alta fedeltà di sei dipinti originali, attualmente all’Isola Madre del Lago Maggiore, proprietà di Casa Borromeo Arese, e parte della serie dei ritratti seicenteschi della famiglia Arese, appositamente realizzati e collocati in questa sala. Per la puntuale analisi storica e critica dei Ritratti rimando all’apposita monografia edita dall’Associazione[1]. I ritratti riprodotti, la parentela è in riferimento a Bartolomeo, sono quelli di Marco Antonio Arese nonno paterno, Giulia Ippolita Clari nonna paterna, Caterina Scanzia nonna materna, Margherita Legnani madre e Giulio I Arese padre ed ovviamente quello dello stesso Bartolomeo III.

[1] S. Boldrini – C. Mauri – M. Rebosio – D. Santambrogio, “Le sale dei Ritratti Arese e Borromeo”, Monografia dei “Quaderni di Palazzo Arese Borromeo” n° 4, Associazione Vivere il Palazzo e il Giardino Arese Borromeo, Cesano Maderno 2012.

Voglio qui sottolineare tre aspetti che sono significativi per capire l’importanza di questa sala che inizia il percorso di visita del Palazzo. Dobbiamo assolutamente tener presente che la visita guidata non si svolge solamente oggi per i visitatori di Palazzo, ma anche, all’epoca, per gli ospiti stessi di Bartolomeo III e dei suoi discendenti, era ciò che accadeva una volta giunti in quel di Cesano. Era la modalità per riconoscere il valore e l’importanza del padrone di casa e della relativa famiglia e di sala in sala conoscere il significato culturale e politico che si esprime nelle pitture, affreschi e dipinti, nelle sculture, ma anche nelle scelte architettoniche.

Dunque questa Sala segna non solo l’incontro con gli Arese, ma ha il valore di significare quanto sia importante il ruolo della stessa famiglia, quale cardine e prima espressione di rapporto ed incontro  nella società dell’epoca, ma anche di quanto per ogni singolo individuo la famiglia è essenziale punto di riferimento e di sicurezza nei momenti di gioia e di dolore.

Si evidenzia poi in specifico, nei componenti maschi della famiglia Arese, il rapporto con la giurisprudenza. In particolare i primogeniti, si laureavano in questa materia, divenendo poi magistrati, impegnandosi successivamente in carriere politiche ed amministrative, per questa famiglia era impegno con tradizione secolare. Ciò si esemplifica in questa stessa sala in cui Marco Antonio, Giulio e Bartolomeo indossano appunto, l’abito scuro del magistrato. Anche se, nella gestualità di Bartolomeo viene, lievemente, meno il suo essere severo, il volto accenna ad un sorriso e la mano sinistra è rivolta col palmo verso l’alto, segno di accoglienza e colloquio, qui siamo, non in un luogo di ufficialità e lavoro, ma in un contesto familiare e di amicizia.

Nota rilevante di questa sala è la presenza del grande camino con valenze tardo rinascimentali, che però è stato messo qui negli anni venti del novecento dal conte Guido Borromeo Arese. Come nella sala del Vestibolo, nella volta sono presenti affreschi di carattere araldico di metà XVIII sec.

Eccoci quindi, nella Sala di Semele, Sala con camino in seguito che mette nella Galleria, caratterizzata dalla presenza, al centro della volta, di un medaglione affrescato, del periodo di Bartolomeo III, contenuto all’interno di una cornice in stucco colorato, che qui presenta agli angoli quattro stemmi delle famiglie Arese, Omodei, Legnani e Odescalchi. Nelle vele vi è una decorazione di epoca rococò, particolarmente elegante e raffinata con cornucopie e frutta, nonché animali araldici Borromeo come il Liocorno ed il Dromedario nel cesto, probabilmente realizzata entro il 1743 per il matrimonio di Renato III Borromeo Arese e la contessa Marianna Erba Odescalchi. Una conferma in tal senso, potrebbe essere nel fatto che dei quattro stemmi in stucco tre (Arese, Omodei e Legnani) sono in rilievo e quindi originali degli anni sessanta del seicento, mentre quello Odescalchi è dipinto e quindi rifatto e di epoca successiva.

Come vedremo, nei medaglioni di tutto il piano terra sono raffigurati soggetti tratti dalla mitologia classica che va, poi, letta in puntuali riferimenti ad una morale ed alla contemporaneità del nostro Bartolomeo, altra dimostrazione di quanto l’attenzione alla cultura classica sia fondamentale per lui.  L’affresco centrale raffigura La morte di Semele colpita dal fulmine, la ninfa si innamora di Giove che ricambia tale amore, tant’è che Semele rimane incinta, Giunone spinta dalla gelosia, assumendo le sembianze della vecchia nutrice della ninfa le suggerisce di chiedere al dio di manifestarsi nel massimo del suo splendore e potenza, Giove non può sottrarsi a tale richiesta avendo promesso che ogni suo desiderio sarebbe stato esaudito. Nel liberare il fulmine, onde mostrare la sua potenza, questo colpisce Semele che muore, il dio prende allora dal ventre della ninfa il feto e cucendoselo nella coscia, proseguendo la gestazione, permette la nascita di Bacco.

Il significato di questo episodio è nel pericolo che si corre nel porre richieste eccessive ai potenti senza rendersene conto, tanto da pagare addirittura con la propria vita, tale azzardo, come in questo racconto. È interessante riflettere come l’Arese pone subito, all’inizio del percorso di visita un tema così forte e significativo, dopo l’amore familiare il rispetto e l’ossequio ai potenti, puntualizza subito le condizioni, modalità e opportunità politiche, che devono suggerire ai singoli i comportamenti doverosi.

L’affresco è attribuito a Giuseppe Nuvolone che con il suo tocco rapido e sicuro, imposta la composizione sulla diagonale, che inizia nell’angolo in alto a destra nel gesto del putto in ombra, dando, così, maggior dinamicità e accentuando, poi, anche la drammaticità del gesto di Semele, ripreso, nell’angolo in basso a sinistra, da Cupido che disperato per la morte di una innamorata, lascia cadere il proprio arco: abbandona lo strumento con cui fa scoccare l’amore.  Sono da notare due particolari, che riprenderemo più avanti: con Giove è sempre presente l’aquila, suo animale simbolo e Giove ha sul capo una corona.

Volgendoci a nord entriamo nella Sala Neoclassica, Sala vicino al Mosaico, che stilisticamente ben poco ha a che fare con il resto del Palazzo (tranne che per un piccolo ambiente nell’angolo sud-est), facciamo un salto temporale di oltre 150 anni, in epoca appunto Neoclassica, il 1822, quando il conte Giberto V Borromeo Arese ridecora questa sala con lo stile dell’epoca, affidandosi al pittore decoratore Gaspare Varenna.  Questi rielabora il terzo stile della pittura romana, riproponendone le geometrie con eleganti candelabre sulle ampie campiture bianche, ed inserendo quattro quadretti rettangolari raffiguranti due animali ognuno: lepri, pecore, cervi e capre, alternati negli angoli a tondi con uccelli, ormai poco identificabili, quindi un insieme di selvaggina: infatti questa sala sin dalle origini è sempre stata la sala da pranzo di Palazzo.

Purtroppo nel rifacimento neoclassico è stato smantellato il medaglione centrale seicentesco e non sappiamo, a tutt’oggi, il soggetto dipinto, unico riferimento dall’inventario Baselino: Medaglia nel volto della maniera del Morazone, nella volta dipinto nello stile del Morazzone.

Estremamente interessante il recupero fatto nei restauri degli anni duemila circa, della pittura a “marmorino” delle pareti, a imitazione cioè del marmo, non solo nel riprodurne il disegno, ma anche l’effetto del lucido e la sua compattezza, al tatto.