SALA DEI MOTTI
Corrado Mauri
Nella parete est della Cappella, a lato dell’affresco con Abramo, si apre, in una complessa “macchina” decorativa, una porta, che conduce all’ampia Sala dei Motti, citata nei primi inventari come Sala dei Motti dipinta con erudizioni. Molto probabilmente era la Biblioteca, a suggerirlo due elementi determinanti: sulle pareti ritroviamo solamente delle ampie specchiature con sobri elementi decorativi e nessun soggetto narrativo, adatte appunto all’esposizione di librerie, al contrario di tutte le altre sale del piano nobile, e sulle due pareti corte sono riportati, al loro centro ed in dimensione rilevante, dei testi poetici. Solamente nella parte alta delle pareti, vi sono una serie di emblemi con un cartiglio che riprende di volta in volta ogni singola riga del testo della parete verso la Cappella.
Il conte Renato III Borromeo Arese, dal 1744 al 1778 esegue una serie di aggiornamenti nel Palazzo e nel Giardino, che vedremo anche più avanti, purtroppo riordina “alla moderna” questa zona, e come ha fatto con la Boscareccia con S. Eustachio, scialba tutta questa Sala, ma addirittura inserisce un tramezzo e la suddivide in due stanze, infatti nell’inventario 1762 sono dette Stanza con lettino giallo e Stanza del lettino celeste. Ma, peggio ancora, abbassa il soffitto distruggendo proprio la serie figurata dei motti. Nei restauri dei primi anni duemila si è recuperato lo spazio originario e buona parte delle decorazioni, nelle immagini vediamo la parete ovest appena tolta la controsoffittatura, rimane ancora la cornice, e si evidenzia la parte alta degli affreschi, sopra il soffitto settecentesco, con la pittura originaria seicentesca. Poi, vediamo la parete dopo l’eliminazione della scialbatura,
e poi a fine restauri, dove sono state ricostruite con un semplice disegno lineare le parti mancanti per una maggior comprensione dell’insieme. Vediamo poi, ciò che rimane di un emblema, di cui è scomparsa tutta la parte centrale e rimane in alto una conchiglia con mascherone, i consueti festoni e volute naturalistiche. È evidente il deperimento della parte bassa dell’affresco, mentre in alto, è ancora ben leggibile la pittura quadraturistica del Villa.
Qui riporto i due tesi poetici, che hanno una netta prevalenza rispetto alle immagini, entrambi esprimono una tensione di carattere amoroso. sacro o profano che sia. Nel novembre 2023, Massimo Benzo, socio di “Vivere il Palazzo ed il Giardino Arese Borromeo” e già citato in merito alla Sala dei Fasti Romani, in una Conferenza tenuta proprio in questa Sala, ha comunicato il risultato dei suoi studi e ricerche, facendo riferimento a quanto dichiara la storico Ludovico Antonio Muratori, ospite frequente nel Palazzo di Cesano, che le varie iscrizioni che compaiono negli affreschi, sia in lingua italiana che in lingua latina, in particolare nel Salone dei Fasti Romani, si devono al talento letterario di Carlo Maria MaggiIn questa Sala abbiamo dei motti sulla parete ovest e delle imprese sulla parete est. Per la comprensione e approfondimento rimando al testo di Benzo sul: Quaderno di Palazzo Arese Borromeo, Anno XIV – Numero unico -Novembre 2023 www.vivereilpalazzo.it
Nella Parete ovest:
“E DI GELO E D’ARDOR STRANO PORTENTO
AHI, CHE LA MORTE HO NEL MIO SEN NO(DR)ITA
MORO, MA NEL MORIR TROVO LA VITA,
ARDO E PERCHÉ TROPP’ARSI, ORMAI SON SPENTO,
BENCHÉ DEBBA MORIRE, IO MI CONTENTO,
NE LA PRIGION DA ME STESSO ORDITA
CERCO MISERO INVAN, NÉ TROVO USCITA,
PRESO AL’HOR PIÙ, QUANDO FUGGIR PIÙ TENTO,
SEMPRE MI VOLGO, OVE CHI PUÒ MI SFORZA,
SEMPRE VO DIETRO, A CHI MI STA LONTANO,
CHI MI PERCOTE PIÙ, PIÙ MI RINFORZA.
QUANDO DOVREI POGGIARE, IO GIACCIO AL PIANO,
TENTO SALIR, MA RICADER MI È FORZA,
VANO È ‘L DESIRE, E LO SPERAR PIÙ VANO”
Nella parete est:
“QUAL ETNA INFOCATO, E L…O ALGENTE,
QUAL, NEL SUO PARTO, VIPERA INFELICE,
QUAL NEL RO(GO) VITALE, ARSA FENICE,
QUAL, VICINO AL SUO FIN, TORCHIO LANGUENTE,
QUAL FARFALLETTA, INTORNO A LUME ARDENTE,
QUAL, NEL CARCERE SUO, CHIUSO, BOMBICE,
QUAL AUGEL CUI DI GABB(IA)..NON LICE,
QUAL, DA VISCHIO TEN….ENIE.”…
Nella Sala gli emblemi, cioè la rappresentazione figurativa delle imprese accompagnati nella parte in alto da cartigli con i motti sono quattordici e riprendono puntualmente le quattordici righe del testo della parete ovest, tre nelle pareti corte e quattro in quelle più lunghe. Inizia con la prima riga, nell’emblema esattamente al di sopra del testo e prosegue in senso orario, terminando, con l’ultima riga, accanto al primo emblema. La parete ovest è impostata
con una precisa simmetria, che non corrisponde all’inserimento del camino, ma che è a metà della parte di parete esclusa la porta. Qui, abbiamo alcuni elementi che confermano il rapporto con le altre Sale, e mantengono, così, il senso di continuità. Al di là dell’apparato dell’emblema, il testo è racchiuso in una cornice lineare semplice sagomata in alto e in basso, dove abbiamo in una tonalità verde, una corona, ormai sempre marchionale, dalla quale sporgono dei rami di olivo, le cui simbologie sono numerose: vittoria, pace, riconciliazione, ma in questo contesto va evidenziato il suo legame con Atena e simbolo di forza intellettuale e di conoscenza. Ai lati due vasi, di cui si può leggere il solo disegno e si riconoscono quali puntuali compagni di quelli del ciclo della Fenice e sempre con l’accentuazione della circolarità in basso, tipica della visione prospettica del Villa, che riconosciamo puntualmente, anche nel semplice appoggiarsi alla parete della parte superiore della porta e quindi senza alcuna alterazione o collegamento col disegno della specchiatura della parete.
Nel sovrapporta troviamo incorniciato da una specie di piccola nicchia un volto femminile con una fascia alla fronte e una conchiglia identica a quelle dei mascheroni degli emblemi, un’espressione fredda ed assente, all’altezza delle orecchie parte una fascia lunga che si annoda in un angolo da cui si stacca l’ultima parte del nastro che assume una andamento curvilineo come se improvvisamente acquisisse una vitalità con la parte finale che diventa come una bocca aperta e digrignante, a sinistra la stessa ombra diventa una serpe, ed allora mi è inevitabile pensare alla seconda riga del secondo testo “Qual nel suo parto, vipera infelice”.
L’altra porta che conduce all’anticamera alla moderna l’abbiamo già analizzata a proposito del ciclo della Fenice ed è in riferimento al terzo rigo “Qual nel ro(go) vitale, arsa fenice”.
L’uccello è al centro del sovrapporta con le fiamme sotto e le ali aperte, anche qui la porta si sovrappone tranquillamente alla specchiatura della parete. Possiamo osservare la parte finale dell’emblema che è accompagnato dagli immancabili nastri, qui dal colore verde. Alle porte e finestre si alternano specchiature a imitazione del marmo, schematiche o con disegni decorativi articolati ed eleganti. Come consuetudine varie le espressioni dei Mascheroni sopra gli emblemi
Nella parte alta dei vani finestra, lievemente curvi, la decorazione pittorica è settecentesca ed eseguita dopo la suddivisione in due stanze. Altrettanto sotto la finestra, durante i restauri in due finestre si è recuperata la pittura seicentesca, nelle altre solo un piccolo tassello seicentesco, lasciando la decorazione settecentesca che riprende il disegno, molto semplificato e linearistico, della parte sottostante gli emblemi, come si evidenzia nelle immagini.
Sempre nel settecento il conte Renato III, quando decide di eliminare lo Scalone di sasso e sostituirlo con l’attuale piccola scala, apre anche una porta sulla parete est della Sala dei Motti, accanto al testo poetico.
Mi piace poter pensare che, in questa Sala con erudizioni e Biblioteca, Bartolomeo e Giulio, padre e figlio, abbiano passato momenti di incontro dibattendo di loro testi o di cultura in genere ed abbiano condiviso il piacere della conoscenza , che è la sostanziale ragione di questo Palazzo, ed augurandosi la buona giornata il mattino o la buona notte la sera.