LA SALA DEL CASTELLO
Corrado Mauri
Ora, accompagnati idealmente dall’Amministratore, entriamo nella Sala del Castello. Attualmente è una Sala chiusa alle visite guidate, se non in determinate occasioni, infatti è restaurata solo in parte e necessita ancora di un intervento sugli affreschi (questo Vi sarà evidente dalle immagini).
È una Sala decisamente importante per quattro dipinti che ritroviamo alle pareti, ma non appesi, bensì affrescati uno per parete. Anche qui le quadrature rivestono una significativa importanza, in particolare nella volontà di ampliare gli spazi, arricchire il contesto offrendo una ulteriore variazione rispetto alle Sale precedenti. L’aspetto illusorio si accentua raffigurando i soggetti come dei quadri veri e propri ed appesi tramite nastri alle trabeazioni.
La struttura quadraturistica della Sala è costituita da un semplice basamento privo di decorazioni davanti al quale abbiamo delle doppie colonne su semplici plinti con capitelli ionici, che sostengono una trabeazione su cui ci sono dei peducci con voluta e un piccolo festone, che si alternano a delle targhe incorniciate con foglie e volute sulle quali sono dipinti dei paesaggi. Tra le due colonne un nastro rosso attaccato ad una rosetta in alto sostiene appesi i quattro falsi dipinti di grandi dimensioni. I soggetti raffigurati rappresentano, due il Palazzo in cui ci troviamo, quindi proprietà Arese, uno il Lago Maggiore con riferimenti ai Borromeo ed il quarto è il Castello di Milano, in riferimento al potere militare spagnolo. A differenziare le diverse proprietà concorrono le cornici, ottagonali irregolari, con i lati diagonali ricurvi per i due di Palazzo Arese, rettangolare per i Borromeo ed esagonale irregolare per il Castello. Caratteristica che uniforma le visioni degli edifici o paesaggi è quella di inquadratura a volo d’uccello, che ci consente una lettura più precisa.
Analizziamo ogni quadro: iniziamo dalla parete nord con il nostro Palazzo raffigurato qualche anno dopo l’inizio dei lavori, con la nuova sezione che si aggiunge alla parte rinascimentale a tre piani. È presente la parte mediana di facciata e, sulla sinistra, perfettamente simmetrico al lato nord, quello sud nuovo, che ingloba la più antica torre medioevale, la quale non presenta ancora la sopraelevazione successiva, manca il lato est e parte di quello sud ed il giardino è separato da un muro con cancellata. Il giardino è ancora nella sua prima versione con alberi e vialetti con andamenti ortogonali. A sinistra la grande corte agricola nella sua impostazione iniziale, con i due piccoli cortiletti aderenti all’ala nord rinascimentale. La piazza semicircolare davanti al Palazzo è
chiusa, tra due torrette, da un muro corto e un ricco portale; la cosa interessante è che a sinistra, attaccata al portico, troviamo una Cappella, con finestra ovale in facciata e un piccolo campanile, Cappella che sarà poi ricostruita tra il Palazzo e le corti agricole. Che quanto vediamo corrisponde puntualmente ai vari momenti di costruzione e rispetta la verità storica di Palazzo è un dato di fatto indiscutibile, non è frutto di fantasia o libera interpretazione del pittore, ben diversamente da quanto affermato da S. Ventafridda[1] e da A. Spiriti[2] che non riscontrano una situazione realistica. La veridicità di quanto affermiamo è confermata da un altro pur minimo ma significativo particolare: all’estrema destra, appena sopra la torre, vediamo un edificio con la facciata corta con una sola finestra ed il lato lungo verso la strada, si tratta della cosiddetta Palazzina[3], tutt’oggi presente, sede prima dell’Agenzia per il Turismo e la Cultura ed ora di ASSP.
Se osserviamo il portale d’ingresso di Palazzo, sotto il balconcino in ferro battuto, vediamo il bugnato rustico intorno ad esso ed anche intorno alla finestra del piano nobile, dove, però, nella realtà non è stato mai realizzato, anche se molto probabilmente era nel progetto perchè nella “Relazione del 1658 dell’Arch. G. A. Pessina”[4] si scrive: “La facciata verso il teatro da fuori è stabelita, salvo dove si ha da fare la pittura che si è data la prima mano”, e più avanti “Vostra Signoria Illustrissima ha sentimento di far dipingere in facciata verso il Teatro per arichire la porta et disopra il pogiolo..” M. Rebosio ipotizza che invece del bugnato si era passati all’idea di una pittura ad affresco per decorare la parte del Portale e della porta-finestra del balcone, tant’è che si fa il nome del quadraturista Villa “…havendo per di fori il Villa fatto il sbozzo di disegno”(come abbiamo già visto precedentemente). Condivido l’ipotesi di Rebosio e questo particolare dell’affresco ci conferma, pur se non concretizzato, (tant’è che oggi abbiamo solo il bugnato rustico del Portale) che l’idea decorativa era in fieri e quindi viene anticipata nell’affresco dal Ghisolfi, importante anche per segnare i tempi di realizzazione di tale dipinto rispetto all’altro. Se la data della relazione è 1658, la data dell’affresco non può essere tanto diversa, altrimenti dovremmo ritrovarci la porta-finestra del Salone senza nessun elemento decorativo come è in realtà, i tempi esecutivi non erano per niente lunghi, anzi sono certo che Bartolomeo avesse un gran desiderio di completare il Palazzo il prima possibile, per “goderlo” e compiacersi del capolavoro che stava realizzando. Ecco, quindi che la Sala del Castello negli affreschi non può allontanarsi molto da una data intorno al 1659-60, in anticipo su buona parte di quello che abbiamo visto sino ad ora, in anticipo rispetto al Salone, a meno che ci sia stata una volontà di raffigurare un momento ormai superato, proprio per rimarcare tempi diversi. Queste sono riflessioni ed ipotesi, penso con scarse possibilità di conferme o meno.
Tutto ciò diventa anche ulteriore conferma del realismo di questi affreschi, che diventano dati storici, come vuole l’Arese.
Sulla parete di fronte troviamo l’altro affresco con il Palazzo, dopo l’inserimento dell’ala est con la Loggia e dell’angolo con l’ala sud sino all’altezza delle scuderie. Esso è raffigurato visto dal Giardino, sempre a volo d’uccello, ma inquadrando quasi esclusivamente l’edificio, dando così rilevanza alla Loggia fronteggiata dalla sopraelevazione del grande Salone.
Se nel primo affresco è innegabile la mano del Ghisolfi, qui le attuali condizioni della pittura lasciano delle perplessità, ma la netta sensazione che tra l’esecuzione dei due affreschi sia passato qualche tempo mi ha accompagnato sin dalla prima volta che li vidi. Il primo presenta la tipica precisione e il tocco disinvolto ma attento del Ghisolfi e la voluta necessità di inserire il Palazzo in un contesto geografico ampio e ben preciso con una inquadratura di grande respiro, nell’altro viene meno il senso dello spazio, è una inquadratura in cui tutto il campo è occupato dal solo Palazzo, anzi esso è tagliato sulla sinistra, solo sullo sfondo ritroviamo delle colline con alberi. Inoltre l’esecuzione mostra una variazione pittorica rispetto all’altra, con un fare più corrente e uguale delle pennellate che suggerisce, probabilmente, la mano della bottega, pur con interventi, ad esempio nelle piccole figure, ed il controllo attento del Ghisolfi. Una volta che sarà terminato il restauro forse si potrà capire meglio e confermare o meno la mia ipotesi, compresa quella dei tempi esecutivi, forse.
Come ho già ampiamente detto nell’articolo Nelle sembianze del Fattore (in questo sito) i due affreschi rientrano perfettamente nella volontà di Bartolomeo di spiegare e raccontare le varie fasi costruttive del suo Palazzo, tutto diventa Storia.
Ecco che anche la storia della famiglia, inevitabilmente, si innesta nella narrazione per immagini. Nel 1652 avviene il matrimonio tra Giulia Arese e Renato II Borromeo, il rapporto di nuova parentela viene qui evidenziato in proprietà specifiche di questa importantissima casata, in particolare sul Verbano, dove i Borromeo avevano veri e propri feudi.
Nel paesaggio lacustre si evidenziano a destra Angera e la sua rocca, sulla sponda di fronte Arona con il colle del Sacro Monte. Nel cielo due cicogne volano in coppia e su ipotesi di A. Spiriti, i due uccelli, simboli araldici dei Borromeo, auspicherebbero una riconciliazione tra il marchesato di Angera e la contea di Arona, di cui sono titolari due fratelli Borromeo in rivalità in quegli anni. Il senso di unitarietà che abbiamo in questo paesaggio, grazie soprattutto all’uso della luce da parte del pittore, può supportare tale ipotesi e sul fatto che il pittore sia il Ghisolfi ho pochi dubbi, basta osservare la vegetazione in primo piano in cui la presenza di alberi rigogliosi e rami rinsecchiti si alternano, come abbiamo ben osservato nella Boscareccia, ma anche il suo rapido e sicuro colpo di pennello, che crea, anche, una intensa navigazione lacustre.
Sulla parete ovest il dipinto esagonale non solo è appeso col nastro, ma appoggia realisticamente al camino vero. Ed altrettanto vera e reale è la rappresentazione del Castello di Milano. Onde ce ne fosse ancora bisogno, il realismo e la precisione con cui questo è raffigurato ci conferma come le scene di questa Sala devono, per necessità espressiva e di racconto, essere obbligatoriamente vere. Nella seconda metà del Cinquecento si rinnovò il sistema difensivo del Castello con l’inserimento di sei baluardi che gli diedero l’aspetto di una stella a sei punte, il tutto circondato da fossati. Nel Seicento vengono aggiunti i rivellini, un’opera esterna addizionale a mezza luna, inserita tra i sei baluardi, così la stella diventa a dodici punte. Anche se, osservando bene l’affresco, vediamo che mancano all’appello i due rivellini posteriori. Il resto è puntualmente descritto, dai cannoni sui baluardi al ponte d’ingresso di legno, al grande portale, alla piazza d’armi, la Rocchetta, la Corte Ducale, la Ponticella di Ludovico il Moro. Lungo il muro di cinta abbiamo i tre piani dove risiedeva la guarnigione, che poteva dai mille circa arrivare sino a tremila soldati. Una realtà descritta dal Ghisolfi con grande attenzione e con la sua capacità di dedicarsi al particolare, senza perdere la visione d’insieme. Ovviamente nei confronti del Castello, piazzaforte militare, non c’è la proprietà e neanche un rapporto operativo, è al di là delle competenze amministrative dei vari incarichi dell’Arese, se non, forse, nella sua Reggenza del Consiglio d’Italia, che presiede la politica della dominazione spagnola. Tuttavia è indubbiamente una diversa modalità di sottolineare il rapporto positivo con la Spagna e il suo re Filippo IV.
In merito alle quadrature, anche qui l’intervento del Villa va confermato, nel riscontrare le modalità pittoriche ed il repertorio ormai conosciuto. Dobbiamo tener presente che le quadrature vanno impostate prima dell’esecuzione dei dipinti, quindi tenendo conto di quanto abbiamo appena detto sulla datazione del primo dipinto del Palazzo e dei lavori in corso, potrebbe essere che questa Sala sia tra le prime ad essere eseguita. Si potrà, una volta completato il percorso, valutare se esistono delle varianti stilistiche e di repertorio per poter formulare una ipotesi sui tempi esecutivi.
Il Villa imposta una struttura generale con i suoi rapporti geometrici, indipendentemente dalle porte o finestre reali. Infatti di porte, nella Sala, ne abbiamo quattro e la quadratura retrostante impostata secondo le sue proprie simmetrie, ne subisce le conseguenze: in una la colonna è coperta a metà, nella successiva la colonna c’è solo in alto poi scompare nel vuoto della porta stessa, lo stesso per la porta all’Anticamera vicina al Castello. Abbiamo già constatato questo suo modus operandi, che ci conferma la sua autografia.
Nelle porte la parte superiore è decisamente importante, ai lati solamente il consueto doppio profilo, nelle porte che vanno alla Stanza ad Architettura e porti di Mare e alla Stanza ad Architettura e Vasi di fiori. Le strutture sono praticamente simili, variano solamente nei particolari, come la conchiglia nel timpano ondulato che nel primo rientra come di solito, mentre nel secondo è rovesciata e presenta il volume pieno. Costanti anche le varianti di colori, nei nastri, nei festoni e nelle decorazioni fitomorfe. Nella mensola sporgente della porta che immette nel Salone abbiamo un uccello che si è posato e sotto alle volute sono appesi nastri arancione con borchie o svolazzanti.
Doppia la trabeazione che presenta nelle parti sottostanti le solite forme geometriche rientranti con rosette rosse e innesti bronzei, piccoli festoni appesi a volute dove riscontriamo la ormai ben nota pennellata ricca di colore che crea le singole forme.
Una variante decorativa è costituita dalla serie di targhe ovoidali con articolate volute e paesaggi dipinti che riprendono, molto semplicemente, il tema delle rovine; questi rivelano, al di là della pennellata capace e sicura, una sensibilità pittorica nella gradazione luminosa delle varie profondità, con varianti anche di tonalità. Quindi, non possono essere opera di un modesto mestierante della decorazione.
[1] S.Ventafridda, Storia di una fabbrica: le vicende architettoniche, in M. Luisa Gatti Perer a cura di, “Il Palazzo Arese Borromeo di Cesano Maderno”, Milano 1999, pag. 255
[2] Corso, a cura di A. Spiriti, di preparazione delle guide di Palazzo Arese Borromeo, realizzato dall’Amministrazione comunale di Cesano Maderno nel 2000
[3]D. Santambrogio, Il nobile signor Aloisio Carcano e i suoi debiti con gli Arese: svelato il passato della Palazzina, Quaderni di Palazzo Arese Borromeo, Anno II, n° 1, maggio 2009
[4] M.Rebosio, “Questo dipende dalle resolutione et gusto di Vostra Signoria IIllustrissima..” La relazione del 1658 dell’ingegnere architetto collegiato Giovanni Ambrogio Pessina sullo stato dei lavori nel Palazzo di Bartolomeo III Arese”, in “Quaderni di Palazzo Arese Borromeo, Anno II/n° 1, maggio 2009. www.vivereilpalazzo.it