È nell’attuale mostra su ANTONELLO DA MESSINA a Palazzo Reale di Milano, (21 febbraio- 2 giugno 2019) vista più volte, che ho sentito la necessità di approfondire lo studio sull’Annunciata e capirla di più, anche per la Conferenza del 3 aprile su “Antonello da Messina, artista europeo” che ho tenuto a Palazzo Arese Borromeo. Ma, anche perché nella mostra milanese viene, inspiegabilmente, del tutto ignorata la fase della formazione di Antonello che è assolutamente indispensabile se si vuole capire Lui come uomo e come artista, una grave lacuna e mancanza.
L’Annunciata di Antonello da Messina è un capolavoro che va ben oltre i limiti della religione e coinvolge i valori stessi del senso del vivere. È una concreta raffigurazione di coscienza di se stessi, del proprio ruolo e di ciò che si sta compiendo. Il che nella rappresentazione del tema dell’Annunciazione è una assoluta novità.
Siamo nella piena maturità di Antonello, che usa tutte le sue capacità, in modo del tutto autonomo ed indipendente. Basta osservare la serie dei suoi straordinari ritratti, altra effettiva e concreta novità, in cui è immediato l’impatto col carattere di ogni singolo personaggio. Del resto la sua evoluzione artistica, necessariamente porta a questi risultati, ovviamente non solo per il particolare talento di Antonello, ma per il suo continuo riflettere, per il suo chiedersi cosa sta dipingendo, per il suo voler capire, prima di eseguire, cosa deve esprimere.
Analizzando la produzione artistica di Antonello si prende atto della sua capacità di riassumere le diverse caratteristiche degli stili pittorici di vari paesi, fondendoli in una visione figurativa che sarà determinante e punto di riferimento imprescindibile per la produzione artistica a lui contemporanea e successiva, in particolare, poi, a Venezia. Questo si rende possibile per quei fondamentali e regolari scambi commerciali e culturali con Fiandre, in Francia con Borgogna e Provenza, in Spagna con Aragona, Catalogna e Valencia, le Repubbliche di Venezia, Firenze e Milano nonché lo Stato della Chiesa un insieme di cui l’artista siciliano è stato testimone e partecipe nella fase della sua formazione a Napoli, all’interno della bottega di Colantonio, all’epoca di Renato D’Angiò e poi di Alfonso II D’Aragona. Ha ben conosciuto i diversi stili pittorici, da quello fiammingo di Yan Van Eych e Petrus Christus, quello provenzale con Barthelemy d’Eych, Enguerrand Quarton e Jean Fouquet a quello aragonese valensiano di Jacomart Baco e J.P. Reixach. Con la conoscenza ed il contatto con l’arte toscana, in particolare la pittura di Piero della Francesca e non ultima la scultura del dalmata Francesco Laurana (che lavora anche in Sicilia) crea, appunto, una pittura pienamente rinascimentale. Ed è proprio in questo senso, per la sua specifica capacità di rielaborare queste varie esperienze che si può parlare e godere di una visione artistica che possiamo dire prettamente europea. L’insieme di specifiche conoscenze, che vanno al di là di una visione localistica, gli permettono di cogliere l’essenzialità della natura umana e dei racconti o narrazioni delle singole storie, sempre strettamente legate alla realtà. A questo, si giunge dalla chiara e attenta lettura del suo stile maturo, di cui l’Annunciata è uno degli apici, ma purtroppo non sorretta da alcuna documentazione storica, totalmente mancante, a seguito del tragico terremoto di Messina del dicembre 1908, che ha distrutto non solo sue opere, ma gli archivi storici (una piccola parte, per fortuna, era stata trascritta). Un elemento, che ritengo determinante per la formazione del suo stile è la conoscenza di Piero della Francesca, questa la si deduce stilisticamente, per il modo di costruire architettonicamente e geometricamente le scene e le figure e per la concezione unitaria della luce. Visti i lunghi periodi privi di qualsiasi documentazione e notizie, dal 1450 al 1456 e dal 1465 al 1470, la probabilità che abbia compiuto viaggi a Roma (dove Piero ha dipinto nei palazzi Vaticani) e in Toscana è decisamente alta, su questo tema gli storici dell’Arte sono in eterno dibattito.
Quando decide di affrontare un determinato soggetto lo analizza profondamente, lo elabora poi nel corso degli anni ed affrontandolo ripetutamente ne rinnova l’interpretazione. Questo succede con le Annunciazioni.
I presupposti di questo soggetto li possiamo individuare in tre opere attribuite ad Antonello ma, recenti analisi danno l’autografia ad altri pittori. Si tratta di raffigurazioni di Maria da sola, a mezzo busto e in due di queste, sta leggendo un libro, azione che, tradizionalmente, svolge prima dell’arrivo improvviso dell’Arcangelo Gabriele e dipinta nella maggior parte delle rappresentazioni dell’Annunciazione.
Virgo advocata (1) della bottega di Jacomart Baco e P. J. Reixach, la Vergine leggente (2) di pittore valenzano della collezione Mino Forti che, nel dicembre 2018, viene donata al Museo Poldi Pezzoli di Milano ed altra Vergine leggente (3)si pensa ad un probabile collaboratore siciliano di Antonello, del Walter Art Museum di Baltimora, tutte presentano elementi stilistici riscontrabili nelle opere del giovane Antonello e che connotano stretti rapporti con le pitture fiamminga, valenzana e provenzale.
È impossibile sapere quante volte Antonello abbia dipinto delle Annunciazioni, considerando che oggi abbiamo solamente 35 opere a lui confermate, prodotte nell’arco di una trentina di anni di effettivo lavoro, (la sua data di nascita è calcolata al 1430 e la morte documentata al febbraio 1479 all’età di 49 anni) è più che ovvio che tale numero è assolutamente poco, abbiamo perso almeno il doppio di quanto ci è rimasto. Basta pensare alla produzione di “stendardi”, i dipinti (di cui si hanno notizie concrete) prodotti costantemente ed in buon numero dalla sua bottega.
Tornando alle Annunciazioni, la prima che ci è pervenuta, fa parte del registro superiore del Polittico di S. Gregorio, ora nel Museo Regionale di Messina, unica opera rimasta nella sua città natale e della quale ci sono rimasti solamente 5 scomparti, ulteriormente e tragicamente danneggiati dal terremoto del 1908.
È una commissione, fatta ad Antonello dalle monache benedettine del Convento di S. Maria extra moenia per la loro chiesa, dedicata a S. Gregorio. La chiesa fu abbattuta per dare spazio alle nuove mura della città ed il Polittico fu trasferito in Calabria. Rientra a Messina intorno al 1570 nella nuova chiesa ma, probabilmente già smembrato e senza la cornice originale, nel 1923 viene recuperato un documento che fa riferimento ad un pagamento (in natura: vino) per il Polittico con la data del 1473.
I due personaggi dell’Annunciazione sono dipinti in due scomparti separati, a sinistra: l’angelo di profilo col gesto benedicente della mano, labbra socchiuse mentre pronuncia il saluto, tunica scura ed un manto bianco da cui, con sconcertante naturalezza e identico colore della stoffa, sporge l’ala. Nel suo scomparto Maria, diversamente dall’angelo è posta non al centro ma, sulla destra, in un interno, purtroppo, non più comprensibile ma, grazie ad un disegno di Giovan Battista Cavalcaselle (studioso d’Arte dell’ottocento, che sui suoi taccuini disegnava e prendeva nota di tutti i particolari, il primo a ricercare con acribia le opere di Antonnello e redigere il suo primo catalogo) possiamo capire che è in piedi con le braccia incrociate sul petto, il capo reclinato, gli occhi abbassati intenti nella lettura del libro collocato sul leggio, difronte al quale spuntano dei garofani, è in atteggiamento apparentemente concentrato ma le braccia rimarcano l’accettazione dell’evento sovrannaturale che le viene comunicato. A dare realtà al contesto è una balaustra, che lega i due scomparti ed è vista dal sotto in su, tant’è che i libri di Maria, li appoggiati, sporgono da essa.
Nei tre pannelli centrali se osserviamo l’insieme dello spazio, vediamo come questo è perfettamente misurato dalla prospettiva il cui unico punto di fuga non è centrale ma, a destra del trono della Madonna, il cui basamento prosegue senza interruzioni nei pannelli laterali con S. Gregorio Magno e S. Benedetto, entrambi si posizionano di tre quarti rivolti alla Madonna, illuminati puntualmente da sinistra a destra, marcati dalle ombre ed i loro piedi sporgono dal gradino a segnare uno spazio vero. Il Polittico non è più la concezione gotica astratta, è uno spazio preciso, unico, a dimensione umana, una costruzione prospettica rinascimentale che rispecchia la grande trasformazione culturale, già in atto da decenni in Italia, non solo con Piero della Francesca, ma con Donatello in S. Lorenzo a Firenze e a Padova o con Mantegna nel Polittico di S. Luca del 1453, ora a Brera.
Grazie ad un altro disegno del Cavalcaselle ritroviamo un’altra Annunciazione all’interno di un altro Polittico distrutto dal terremoto del 1908, era quello di S. Nicola, copiato nel 1620 ma, senza rispettare i particolari e la struttura originale. L’Annunciazione era raffigurata sulla stola del santo, tra la mano benedicente e appena sopra il libro che teneva con la mano sinistra (pagina destra del taccuino).
Una tradizionale Annunciazione di Antonello è quella della Chiesa, appunto, dell’Annunziata a Palazzolo Acreide, una quarantina di km a ovest di Siracusa, anche questo dipinto ha una storia complessa e ha subito gravissimi danni su tutta la superficie pittorica in specie alla base del dipinto, il contratto originale è stato trascritto, prima del terremoto.
Non è qui il luogo di approfondire l’analisi di questo dipinto, alquanto complesso, dove ritroviamo, nel 1474, ancora puntuali riferimenti alle sue esperienze con la pittura fiamminga degli anni giovanili ma che, risente ovviamente della sintesi successiva, l’alternarsi di luci interne ed esterne, la colonna con elementi quasi classici, le posizioni dell’angelo e di Maria sono praticamente uguali a quelle del Polittico di S. Gregorio, se non per le igure che sono intere e per Maria che è seduta.
Credo sia opportuno, a questo punto, osservare alcuni dipinti che rappresentano delle Annunciazioni, prendendo atto delle persistenze di atteggiamenti sia dell’angelo, sia di Maria, riscontrando una costante aderenza al tema ed ai testi religiosi, in particolare il Vangelo di Luca, l’unico che narra dell’Annunciazione.
Pur con interpretazioni personali dei singoli artisti si riscontra in generale un atteggiamento, in piedi od inginocchiato, di grande rispetto ed omaggio dell’Arcangelo Gabriele nei confronti di Maria Vergine, più articolate le pose della fanciulla, solitamente sorpresa dall’apparire improvviso dell’angelo, spaventata come il gatto nell’Annunciazione del Lotto, mentre è intenta nella lettura o, già, in atteggiamento di partecipata accettazione del ruolo a cui viene chiamata. Quasi costante è la presenza della colomba dello Spirito Santo, in buona parte accompagnata dallo stesso Padreterno. La narrazione è sempre inserita in ambienti architettonici di notevole bellezza e ricchezza (il riferimento è alla casa di Davide) con strettissimo rapporto con la natura e il giardino, l’hortus conclusus.
Quando Antonello riprende questo soggetto, probabilmente per un dipinto di devozione su commissione ma, non escluderei che l’Annunciata possa anche essere un dipinto creato autonomamente, per concretizzare una propria e specifica idea, lo risolve in modo assolutamente originale, determinando una nuova iconografia. Affronta il tema come fosse un ritratto, accantonando tutta la tradizione antecedente. Elimina completamente le presenze: dell’Arcangelo Gabriele, della colomba come Spirito Santo e del Padreterno. E direi che non è poco! La stessa Maria è raffigurata a mezzo busto in uno spazio esclusivo ed anonimo ma, perfettamente a sua misura con uno sfondo nero che esalta la luce e mantiene il senso di spazio, cioè che accoglie e non chiude. Nel costruire la scena Antonello usa puntualmente la prospettiva con grande attenzione.
Infatti le linee del piano e del leggio vanno ai punti di fuga sulla linea d’orizzonte, quindi verso il fondo nero che non è parete ma spazio reale in cui stanno le cose. Maria è come un’architettura, è posta centralmente sull’asse verticale che ha in linea: la piega del manto sul capo, il naso e lo spigolo del tavolino su cui poggia il leggio. La figura non è posta frontalmente, sia nel volto che acquisisce, così, una maggior plasticità dall’accentuazione delle ombre, sia nel busto, che con una lieve ed ulteriore rotazione amplia la misura della spalla destra rispetto a quella di sinistra, di conseguenza lo spazio posteriore non risulta uguale e simmetrico, offrendoci la voluta sensazione di un luogo vero e reale e quindi non ideale. Ma altri giochi lineari legano la figura al contesto prospettico, la mano sinistra nel suo importante gesto di chiudere il manto, di cui capiremo il fondamentale significato, pone le nocche delle dita su una linea verticale che coincide esattamente con lo spigolo del leggio; la linea compositiva determinata dalla continuità tra il piano inclinato del leggio e le pagine del libro è perfettamente parallela all’asse orizzontale di inclinazione della mano destra. Ecco come, mettendo in rapporto geometrico le varie componenti dell’opera, si percepisce l’indispensabile unitarietà del dipinto, con la logica conseguenza della sua pregnanza dei significati ricercati e voluti. La definizione dello spazio che contiene Maria ne accentua la sua indefinita immobilità, da qui anche quel senso di calma che percepiamo ma, che trattiene il turbine di emozioni e pensieri che travolgono interiormente questa fanciulla. Antonello fa assumere allo splendido volto di Maria, (un ovale che rimanda a Piero della Francesca e alle teste scolpite di Francesco Laurana) che potremmo dire di classica popolanità, una espressione imperturbabile, in particolare, negli occhi che osservano puntualmente verso destra ed in basso, è indubbio che ha di fronte l’Arcangelo Gabriele che gli ha appena rivolto il saluto “Ave Maria, piena di grazia”, ed è proprio in questo suo particolare sguardo che sentiamo la presenza fisica dell’angelo.
Qui vorrei soffermarmi un momento sulla lettura che viene fatta da buona parte degli storici o critici d’Arte, e cioè che Antonello, per mezzo dello sguardo di Maria coinvolge noi, osservatori, al posto dell’angelo. No: Maria ci coinvolgerebbe se ci guardasse direttamente, ma non lo fa, guarda un punto ben preciso più in basso, la sua azione è ben cosciente e chiara. Certamente, noi siamo coinvolti emotivamente ed intellettualmente davanti a questo assoluto capolavoro ed apice dell’Arte, non può essere altrimenti ed indipendentemente dal dato religioso, per chi non dovesse subire questa emozione dobbiamo solo provare enorme compassione, per non dire altro.
Ed allora, ecco che a sostenere la forza di questo sguardo, a motivarlo ed a rendercelo comprensibile contribuisce l’unitarietà della composizione legando strettissimamente occhi e mani. Ogni mano compie un gesto preciso e significante. La mano sinistra reagisce, all’apparizione, immediatamente accostando e chiudendo il mantello, in un atto istintivo e naturale di protezione, mentre riflette “rapidamente” sulle parole appena ascoltate ed allora solleva la mano destra (mano che Roberto Longhi definiva “la mano più bella che io conosca nell’Arte”) ed è come un invito rivolto all’angelo di fermarsi un momento, lei deve pensare per compiere la scelta con coscienza. In tal senso il gesto è inequivocabile, è il gesto di chi ferma, di chi sospende ciò che avviene davanti a lei, durerà anche un momento il valore di tale atto ma, avviene.
Tutti puntualizzano quanto la mano dà, sottolinea, fende prospetticamente lo spazio, uno spazio che si fa autentico ed è lo spazio rinascimentale, indubbiamente ma, l’Annunciata di Antonello da Messina è la donna che acquisisce coscienza e padronanza di sé nell’arco di pochi attimi, proprio compiendo fermamente quel gesto. Il suo volto è severo, non esprime commozione, timore o imbarazzo, le labbra sono serrate senza alcuna inclinazione, c’è la possibilità di un potenziale lieve sorriso. Qui è la fanciulla Maria che diviene donna, decide di sé, con una forza interiore che la rende di notevole bellezza ed espressione di assoluta “verità”. È questa l’Annunciata di Antonello, una totale novità, il frutto della riflessione sulla sequenza dei singoli momenti di una storia, di un evento che segnerà la storia dell’uomo: inevitabilmente.
Antonello si chiede cosa avviene nell’intimo del personaggio che vuole rappresentare ecco la straordinarietà di tutta la sua unica ed eccezionale ritrattistica, che si esprime: per verità, di Maria lui sta dipingendo il ritratto, non sta facendo l’immaginetta e quindi la interpreta .
Antonello da Messina legge, capisce e decifra il testo evangelico di Luca momento per momento, solo quando Antonello termina questo dipinto, la narrazione prosegue ed accadrà che la Vergine chiederà: “Come è possibile questo? Non conosco uomo” e l’angelo risponde “Lo Spirito Santo scenderà sopra di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra, perciò quello che nascerà sarà chiamato santo, figlio di Dio” ed ora, solo dopo questa frase, Maria pronuncia coscientemente “Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga di me quello che hai detto”. Ed allora Antonello dipingerà un’altra Annunciata, quella ora alla Alte Pinakothek di Monaco, dove si attua il momento culmine dell’Incarnazione.
Qui Maria incrocia le braccia sul petto, le mani sono aperte per prendere, accogliere, il volto è più frontale ma inclinato verso l’angelo e soprattutto le labbra sono socchiuse perché sta pronunciando la frase di accettazione dell’Annuncio, è cioè il momento, il fotogramma successivo a quello dell’Annunciata di Palermo, tant’è che è dipinta l’aureola, è ormai persona divina. Questa Maria è, rispetto a quella di Palermo, più mossa e articolata, meno perentoria ed assoluta formalmente ma, altrettanto fondamentale nella narrazione evangelica di Antonello, che qui rientra nella tradizione interpretativa. Sul piano stilistico, pur dando atto a diverse interpretazioni, tutt’ora in atto, siamo perfettamente sullo stesso momento cronologico, intorno cioè al periodo veneziano 1475-6, qualcuno dice appena prima, qualcun altro appena dopo, ma è la straordinaria piena capacità di Antonello.
È il periodo della Pala di S. Cassiano e del S. Sebastiano. Guardate la mano della Madonna, anche questa segna, fende lo spazio ma, il palmo è rivolto verso l’alto e significa accoglienza, colloquio e apertura, l’opposto rispetto alla mano dell’altra Annunciata.
La maturità di Antonello è tale che gli permette di variare stilisticamente i propri capolavori sulla base delle idee e dei significati che vuole esprimere in ogni singola opera.
Ecco perché le due Annunciate vengono date in tempi diversi, nella logica analisi di un’opera se questa è compositivamente più assoluta e perentoria, come quella di Palermo, è solitamente posta al vertice del percorso di ogni artista, il tendere alla sintesi è più che ovvio ma, per Antonello (e non solo) non è così ovvio, la sua acuta intelligenza gli fa usare le modalità pittoriche sulle necessità espressive e di significato. L’Annunciata di Monaco nella sua articolazione più mossa, nei gesti ed atteggiamenti flessuosi, nel maggior uso della linea curva appare meno rigorosa, non è respingente. Qui non abbiamo il leggio, i libri, uno chiuso l’altro aperto, sono posti su un parapetto, visto dall’alto, la stessa Maria è più bassa rispetto a quella di Palermo, e la diremmo seduta, questa invece potrebbe essere inginocchiata, e più nella tradizione. In una logica normale si assegnerebbe cronologicamente prima l’Annunciata di Monaco e dopo quella di Palermo. Personalmente sono convinto del contrario, come ho spiegato e nel rispetto della narrazione evangelica. Anche Mauro Lucco sostiene questa cronologia, leggendola con una maggiore vivezza espressiva di cui gli ultimi suoi tempi offrono esempi sublimi.
Antonello da Messina, come tutti i grandi artisti ha un concetto dell’uomo che va al di là dei tempi contingenti, ecco dunque che la sua Annunciata è anche molto moderna, è una donna di oggi, che ha finalmente acquisito coscienza di se stessa ed allora l’abbiamo accanto a noi, ci accompagna e partecipa nelle manifestazioni a favore delle donne, per l’affermazione dei propri diritti e contro i femminicidi.
28 aprile 2019