APPARTAMENTO ALLA MOSAICHA o Ninfeo
Corrado Mauri
Nella denominazione seicentesca della Sala Neoclassica si fa riferimento al Mosaico, che è la caratteristica precipua degli ambienti che ora visitiamo.
Infatti questo piccolo quartiere veniva chiamato: l’Appartamento alla Mosaicha, oggi impropriamente detto Ninfeo, le sue caratteristiche sono tipiche di questi ambienti che solitamente si trovano al termine dei giardini, ma qui a Cesano è all’interno del Palazzo stesso, perdendo le finalità tipiche di questi ambienti. In origine templi delle ninfe, ma poi con nicchie, portici, fontane, esedre e grotte artificiali, sono realizzati scenograficamente su declivi naturali nei giardini appunto, quindi in stretto contatto e rapporto con la natura, luogo di riposo, di gioco, di merende e di svago. Qui a Cesano, con Bartolomeo questo aspetto viene meno, mi sorprenderei non fosse così, la particolarità dell’ambiente si trasforma in costante suggerimento e suggestione culturale.
Pavimento, pareti e volte sono interamente rivestite da un mosaico di piccoli sassolini di fiume bianchi e neri, che realizzano ampi disegni decorativi tipicamente barocchi. Due le stanze con queste caratteristiche, un’altra, che presenta il mosaico nel solo pavimento, ha alle pareti affreschi a boscareccia e poi a completare l’appartamento il piccolo cortiletto. Di fronte a questo piccolo quartiere verso est, vi era il giardino de fiori ma separato dal giardino grande da un muro, che venne abbattuto nel giugno del 1878.
Il primo ambiente Galarietta fatta a Mosaico è una piccola galleria con tre campate, in ognuna delle quali vi è un affresco. Nel ricco disegno decorativo con elementi vegetali, sono inseriti alla base delle pareti quattro stemmi Arese con corona comitale e altrettanti negli angoli della campata centrale, una sottolineatura araldica puntuale e che si ripropone con una cadenza non continua, ma con ampie e studiate pause nell’ambito di tutto il Palazzo. Sulle pareti sono presenti dodici mensole di marmo, ognuna è sovrastata da una conchiglia disegnata nel mosaico dei sassolini, che faceva da sfondo alla serie di busti antichi in marmo collocati su di esse, ora nel Palazzo dell’Isola Madre. Nella lettura degli inventari di Palazzo risalta come in questo Appartamento alla Mosaicha fossero esposte anche una particolare quantità di piccole sculture su tavolini, che rendevano particolarmente prezioso l’ambiente[1].
Interessante è notare che in particolare negli elementi orizzontali che fanno da base alle campate, riscontriamo dei sassolini che sono stati colorati in giallo e arancione cupo, un discreto uso del colore che accompagna e prepara alla visione degli affreschi. Questi, dipinti all’interno di semplici cornici in stucco, due ottagonali irregolari e la centrale ovale, pur nei soggetti diversi trattano una tematica unica, cara a Bartolomeo III, che è quella del comportamento moderato, equilibrio e moderazione sono capisaldi della grande lezione di Cicerone. Primo soggetto è “Il saggio e la Solitudine”, un anziano che tiene con la destra una penna e nell’altra mano un libro o meglio un quaderno aperto su cui sta scrivendo, lo sovrasta lievemente la bella figura della Solitudine, individuabile dal fatto che tiene una lepre sotto il braccio e ha un passerotto sulla testa, attributi descritti nel testo di tardo cinquecento Iconologia di Cesare Ripa[2]. La fanciulla avvolta in un panneggio bianco, ad indicarne la purezza, col braccio sinistro tiene un libro ed osserva il Saggio, quindi ha con lui uno stretto rapporto, questo ha un’espressione concentrata, davanti a lui una clessidra, misura il tempo che passa. Il cartiglio, in latino, puntualizza definitivamente la situazione, tradotto “(il saggio) non è mai meno solo di quando sia solo”[3].
[1] In tal senso è utile la lettura dell’articolo di D. Santambrogio e Massimo Benzo “Nuovi spunti interpretativi sul Ninfeo di Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno” in “Quaderni di Palazzo Arese Borromeo”, anno IV – num.2 – novembre 2011
[2] “Iconologia ovvero Descrizione di diverse immagini cavate dall’antichità e di propria invenzione” del cavalier Cesare Ripa (Perugia 1560-1625/45) la cui prima edizione è del 1593. Successivamente, nel 1603 l’edizione è arricchita da illustrazioni, xilografie originali assegnate al Cavalier d’Arpino (Giuseppe Cesari 1568-1640) ma al quale, però, lo stesso Ripa non accenna. Una successiva edizione padovana del 1618 è ampliata e più corretta nel testo. Il libro fu uno strumento importante per l’iconografia degli artisti del sei-settecento, ma è tutt’oggi indispensabile agli studiosi per l’individuazione delle personificazioni di miti, allegorie e idee astratte in tutta la produzione artistica.
[3] Vedi nota 1, testo Massimo Benzo
Il significato è alquanto evidente, l’uomo saggio rimanendo in solitudine, senza distrazioni, può riflettere con attenzione e tranquillità dando così il meglio di sé e senza sprecare tempo. In questa immagine abbiamo riassunti alcuni dei punti chiave del pensiero di Bartolomeo. La indispensabile crescita culturale dell’individuo si attua attraverso la continua applicazione e conoscenza, utilizzando al meglio le proprie capacità e sfruttando bene il tempo che ineluttabilmente trascorre.
Nel medaglione centrale troviamo due figure femminili, che riferendosi sempre all’Iconologia del Ripa, individuiamo una nella Natura “donna ignuda, con le mammelle cariche di latte…” che premendo un seno ne offre il contenuto, l’altra nella Temperanza che tiene nella mano sinistra un morso o freno “si piglia per la moderazione degli appetiti” e con la destra versa da un’anfora dell’acqua bollente in una patena, sorretta dalla Natura, che contiene acqua fredda ottenendo così acqua tiepida, una via di mezzo, cioè, tra due estremi. Anche qui è abbastanza chiaro l’invito alla moderazione, la stessa Natura non deve essere eccessiva nel suo donarsi.
Nel terzo affresco abbiamo l’Intelletto, anche se dovrebbe essere l’Ingegno, stando al cartiglio in cui leggiamo “NUTRIT INGENIUM QUIES”(la Quiete nutre l’Ingegno)[1], la figura dipinta, nel testo del Ripa, corrisponde puntualmente all’Intelletto e non all’Ingegno: giovane vestito di un abito dorato con scettro in mano e corona in testa dalla quale escono delle fiamme “la fiamma è il natural desiderio di sapere, nato dalla capacità di virtù intellettiva, la quale sempre aspira alle cose alte, e divine..” difronte abbiamo una giovane donna in abito azzurro che si appoggia su di una pietra cubica e rappresenta la Quiete. Il cubo appoggiando perfettamente su un piano, offre stabilità e “quiete” sicura (riprenderemo in seguito questi particolari parlando dei pittori). Senza difficoltà comprendiamo che, per la terza volta, abbiamo un chiaro suggerimento a comportamenti moderati, l’intelligenza, che è la dote più importante e caratterizzante l’uomo, dà il meglio di se nei momenti di tranquillità. Un particolare significativo, che ritroveremo anche in Sala Aurora e nella Galleria delle Arti Liberali, è il volto dell’Intelletto, in cui si può riconoscere il ritratto di Giulio II, terzogenito ed unico maschio di Bartolomeo III, confrontandolo con l’incisione realizzata per la sua Laurea. Importante personalizzazione ed aggiornamento di un soggetto classico.
[1] Vedi nota 6, testo di Massimo Benzo
L’ambiente successivo presenta un significativo aggiornamento settecentesco, Altra galarietta Saletta à Mosaicho detta de Bagni, nel 1697 era citato come “Saletta vicina alla giacera” c’era cioè una porta (attualmente murata) che conduceva al portico della Ghiacciaia, mentre nel 1704 era “Stanza dell’Alcova” per la presenza di un divanetto da salotto per il riposo. L’aggiornamento ha comportato l’inserimento di: una vasca in marmo nero con due volute laterali, la parte di volta soprastante ad imitazione di grotta con l’utilizzo di ceppo (travertino di grotta) e una consistente serie di stucchi, alcuni dei quali presentano residui di colorazione. In particolare nelle pareti lunghe alcuni stucchi sono stati sovrapposti a piccoli affreschi seicenteschi contenuti in forme esagonali, che negli ultimi restauri non si è voluto recuperare per conservare questi stucchi e il loro effetto d’insieme. Un particolare interessante, anche per capire quanto, all’epoca, contassero anche i piccoli dettagli, lo si nota ancora nella parte centrale della volta, intorno alle due conchiglie in stucco, dove troviamo inseriti nel fondo sia verde che bianco minimi frammenti di vetro o specchio, che avevano la funzione di riflettere la luce delle fiamme delle candele o delle fiaccole che illuminavano, così da determinare un gioco luminoso sul soffitto.
Il terzo ambiente della Mosaicha ha caratteristiche diverse, il mosaico è solamente nel pavimento e le pareti e la volta erano dipinte con semplici elementi geometrici che imitano il marmo, probabilmente decorazione risalente agli interventi settecenteschi, come la mensola a muro pentagonale. Nei restauri dei primi anni duemila, dopo sondaggi, si sono recuperati, purtroppo con molte lacune, gli affreschi a boscareccia seicenteschi. Recupero fondamentale, perché ci mostra come il tema della raffigurazione della natura, quale soggetto unico in una Sala, si sviluppa in tutto il Palazzo e non solo al piano nobile, in ben altre tre Sale, quindi, pur nelle differenze di concezione dei vari quartieri od ambienti, il concetto che questi, comunque, costituiscono un insieme unico è fondamentale e confermato.
Ma, ancora qui ed a ribadire quanto appena detto, c’è un piccolo soggetto che rimanda puntualmente ad un racconto che si sviluppa poi nella boscareccia con S. Eustacchio al piano nobile. Si tratta di un cervo che appare sotto un arco naturale di roccia, annuncia la sua presenza successiva, ma collega idealmente, così, ambienti su piani diversi. Oltretutto lo stesso arco naturale è riproposto sempre nella stessa boscareccia, ma diviene luogo di preghiera per un eremita.
Quarto ed ultimo ambiente dell’’Appartamento alla Mosaica è il cortiletto, non preso in considerazione nell’inventario Baselino e precedentemente detto Cortiletto della fontana, anche questo decisamente rilevante, pur se richiede una capacità di immaginare quanto purtroppo non più presente. Da altro inventario del 1704 si ha “vi è un vaso di 4 arcelle con aquila che porta un puttino di marmo rustico, ed è dipinto e lavorato per fontana”, nel 1716 “Il cortino è dipinto à Paesi, con su l’alto alcune canne di piombo per l’’acqua; da mezzo un arcella con sopra un puttino a cavallo di un aquila di sasso”. Si evince che in mezzo al cortiletto c’era una vasca-fontana che riceveva acqua da canne di piombo sul tetto, aveva in mezzo ad essa una scultura (ciò che ne rimane è stato recentemente recuperato da Daniele Santambrogio in fondo al Giardino) di putto a cavalcioni di un’aquila ed ha forma di arcella, cioè probabile, conchiglia. Anche nella Saletta degli stucchi sopra un tavolino c’era “una bellissima arcella di mare”. Ciò che poi mi interessa particolarmente sono gli affreschi delle pareti, ormai quasi del tutto scomparsi essendo direttamente esposti alle intemperie, tranne un piccolo lacerto in alto sulla parete sud, in cui si vede una scultura posta in cima ad una architettura esterna che ha tutta l’aria di essere una specie di esedra in un giardino o paesaggio, ecco un possibile riscontro a: è dipinto a Paesi, ma sulla parete est, che ha una porta e finestra che danno sulla prima Galarietta, sono rimaste alcune tracce dell’arriccio, l’intonaco grezzo su cui il pittore imposta il disegno e su cui poi stende l’intonachino con calce spenta sul quale poi dipinge. Su questi brani di arriccio il pittore ha inciso il disegno preparatorio e quindi ancora sufficientemente leggibile e non è un paesaggio ma un insieme di elementi architettonici, archi e nicchie, cioè possibili quadrature architettoniche. Un’ipotesi potrebbe essere la rappresentazione di un portico più o meno ampio sul fondo del quale vi potrebbero essere i paesaggi, richiamati appunto negli inventari. Ed allora l’ipotesi di una possibile imitazione dell’Atrio delle ville romane con il loro impluvium può essere giustificata, in un Palazzo dove la Roma antica è costantemente citata.
Ma poi, nella parte alta della parete ritroviamo una cornice continua di travertino, riproposta di un elemento naturale, oltre il quale abbiamo una fascia affrescata in cui con una colorazione violacea sono raffigurate Naiadi e Tritoni che si abbracciano: personaggi legati all’acqua, le Naiadi in particolare erano apportatrici di fecondità alla terra, protettrici del matrimonio, sottolineato dunque il tema dell’amore non solamente, quindi, nell’abbracciarsi, ma erano anche guaritrici degli infermi che si immergevano nelle loro acque. Positività espressa con semplice evidenza.
Ma un altro particolare straordinariamente significativo lo troviamo nell’angolo nord est, e senz’altro riprodotto nei quattro angoli, una trabeazione che si chiude in una voluta e che nel suo avvolgersi da architettura si trasforma in coda di animale marino con sotto una conchiglia che lega le due pareti. Architettura che si fa natura, la tematica naturalistica continua costantemente. Nel sottotetto, sempre dipinte, troviamo una continua alternanza di conchiglie e rametti di corallo, sempre elementi marini, ma anche con altro significato. La conchiglia, quale simbolo di rinascita, si lega al pellegrinaggio di S. Giacomo a Compostela, il pellegrino in segno di avvenuto percorso si fissava sul cappello o mantello una conchiglia. Il rametto di corallo per tutto il Medioevo e il Rinascimento era ritenuto quel minerale naturale che proteggeva i bambini dalle malattie, basta osservare con attenzione le infinite raffigurazioni di Gesù bambino, si noterà quasi sempre la presenza di una collanina o braccialetto rossi, con a volte appeso il rametto di corallo, esempi: la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca o la Pala della Vittoria del Mantegna.
Questa particolare sottolineatura di soggetti marini che troviamo nel cortiletto, deve avere un particolare significato, la ritroviamo in altra Sala al piano nobile, nelle Sale che conducono alla Tribuna dell’Oratorio dell’Angelo Custode, ala nord ed attualmente chiuse al pubblico e ancora da restaurare completamente. In questa Sala, Stanza con camino dipinta ad Architettura a macc(h)ia, incorniciati da quadrature architettoniche sono raffigurati tre paesaggi, due con un fiume e l’altro con un grande mulino a vento, sulle quadrature sopra le porte e nella trabeazione in alto, che idealmente sostiene il soffitto a passasotto, sono inserite una notevole serie di conchiglie di varie forme, rametti di corallo e, con mia particolare sorpresa, delle chele rosse di aragosta con foglie in mezzo. Abbiamo un’altra ripresa, in piani diversi del Palazzo, di stessi soggetti, ribadendo unitarietà e continuità, una constatazione è che la natura a cui si vuole fare riferimento, quale tema fondamentale svolto dall’Arese, è la natura totale e non solo dei giardini o delle campagne locali, ma dei monti, laghi, fiumi, pianure e mare. Riprenderemo questo tema primario, quando ci troveremo nella Boscareccia grande.
Prima di passare ad un nuovo ambiente è importante analizzare i pittori che hanno qui dipinto: il Saggio e Solitudine viene attribuito a Giuseppe Doneda il Montalto con il suo stile attento alla modellazione, con una pennellata sempre controllata ed una composizione equilibrata, quasi con le stesse caratteristiche è il fratello Giovanni Stefano Doneda il Montalto autore dell’Intelletto e la Quiete, mostra una pennellata più sciolta, ma la sua precipua dote stilistica è la grande attenzione all’uso della luce, la componente che caratterizza le sue opere, terzo pittore è Giuseppe Nuvolone per la Natura e la Temperanza, il suo fare è immediato la tipica pittura di tocco sicura, ogni pennellata è ben evidente e non si cura di sfumare i passaggi di colore o di luce e ombra, la composizione è dinamica, infatti rispetto ai due colleghi che compongono sempre intere le figure, Nuvolone, qui, taglia parte della figura della Temperanza, suggerendo spazi più ampi. Va notata una particolarità, come vediamo nello stesso ambiente operano con tre soggetti ben tre pittori diversi e non uno solo come sarebbe più logico e pratico, questa è la modalità di gestire i suoi pittori da parte di Bartolomeo III, questo modo permette di cogliere differenze non solo nei soggetti ma anche nello stile con cui sono rappresentati. Questa diversità rende meno monotona la lettura e il godimento delle pitture, i pittori si alternano da una Sala all’altra, o più pittori, come qui, operano nella stessa Sala, oltretutto ognuno è portato a dare il meglio onde prevalere e mostrare le sue doti rispetto agli altri. Una gestione “politica” ed attenta degli artisti da parte del sottile e intelligente Presidente Arese. Ma si potrà notare anche, che da una stanza all’altra gli stessi particolari decorativi non si ripetono mai, vengono rinnovati di volta in volta. La monotonia è bandita. Per la boscareccia è indubbia la mano di Giovanni Ghisolfi e bottega. Per quanto riguarda il cortiletto le condizioni di degrado della pittura non permettono attribuzioni certe, ma siamo sempre con gli stessi nomi appena citati.