Esposte nelle sale del seicento di Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno
In questi mesi, estate 2015, nelle Sale del piano nobile di Palazzo Arese Borromeo, è presente una mostra “Tracce di contemporaneo” con opere che dagli anni cinquanta-sessanta del Novecento arrivano ai nostri giorni provenienti da collezioni private della Brianza. Aspetto a cui è stata molto attenta la curatrice della mostra Simona Bartolena, sottolineando quanto sia presente nella operosa Brianza anche una sensibile capacità di selezione e di gusti personali nel collezionismo, appunto, brianteo.
L’aspetto che mi intrigava dell’esposizione era, oltre alla valorizzazione di un patrimonio artistico del territorio, la possibilità di creare un dialogo tra le opere contemporanee e quelle più antiche nelle ville storiche.
Le mie specifiche competenze nelle arti figurative, docenza nella Pittura e Storia dell’Arte, attività di pittore, la particolare presenza per ben 34 anni nell’organizzazione e nelle Giurie dei Premi Bice Bugatti- Segantini, quale direttore della Libera Accademia di Pittura di Nova Milanese, tra l’altro citati dalla stessa Bartolena quali momenti attivi nel territorio brianteo ma, poi in particolare, la profonda conoscenza degli aspetti storico-artistici di Palazzo Arese Borromeo, mi pongono in una posizione di particolare privilegio per cogliere il dialogo tra epoche diverse.
Difficilmente superabile lo scoglio di un allestimento che, per il suo ingombro, assolutamente non facilita, mi verrebbe da dire impedisce, tale dialogo limitando, soprattutto, la percezione della globalità delle singole Sale, la mia sensazione generale è di un dialogo come sospeso. Pur nell’adottare, in buona parte delle opere esposte, gli stessi principi dell’alfabeto dell’arte figurativa storicamente validi e confermati, per me buona parte del contemporaneo mi dà, oggi, una sensazione di non più attivo, come spento. Eppure buona parte di questi artisti, di qualche generazione precedente la mia, erano per noi studenti degli anni sessanta del Liceo Artistico e dell’Accademia di Brera dei punti di riferimento: frequentavamo le loro mostre, andando a trovarli nei loro studi per conoscerli meglio, per esempio Fontana. Il loro portato di novità, di segnalare le nuove esigenze, di adeguarsi al cambiamento dei tempi, di creare un nuovo linguaggio, ma in particolare proporre mutevoli modi espressivi erano strettamente attuali. Ora rivedendoli ad una distanza di cinquant’anni quella attualità e vivacità, mi è venuta meno, devo ricontestualizzarli a quegli anni per ricomprenderne i significati e tentare di acquietarmi nella loro comprensione.
Il tempo porta delle variabili e cambia le visuali e a volte fa brutti scherzi. Anche la comprensione degli affreschi barocchi non è per niente semplice, bisogna conoscere la storia, antica e moderna, i significati iconografici per leggerne la ricchezza di pensiero espressa e ciò in specie in ogni Sala di Palazzo Arese Borromeo, ma la loro ricchezza comunicativa ed attrattiva anche nei confronti di chi non ha strumenti specifici rimane alta. L’esempio lampante è la Sala della grande Boscareccia, un vero capolavoro del Seicento italiano, il cui fascino avvolge chiunque per la sua straordinaria capacità di percezione totale della natura, del mondo che ci circonda, ma contemporaneamente per la ricchezza di tanti significativi particolari che costituiscono, appunto, un insieme. La presenza dei contemporanei incombe in queste Sale per il supporto, ma che dialogo nasce tra questi due secoli? Per il seicento la viva presenza di valori e significati del committente Bartolomeo III, nonché dello stesso pittore Ghisolfi, è ancora oggi percepita quasi intatta. Per il contemporaneo l’evidenziarsi di quel bisogno di rielaborazione delle forme pittoriche, composte liberamente o comunque con modalità esecutive che cercano un equilibrio e un significato, ma senza contatto con gli aspetti della realtà, rimane un atto prettamente formale il più delle volte esteriore e non coinvolgente o quantomeno talmente legato al vissuto interiore del pittore da precludere una sufficiente condivisione. Scarsi i punti di contatto: il seicento vive del contatto con la vita quotidiana, il contemporaneo rimane un esercizio per chi opera che necessita di indispensabili spiegazioni per essere compreso, ma il più delle volte privo di partecipazione soprattutto emozionale.
Debbo confessare la mia enorme perplessità e la presa d’atto di quanto sia diverso il principio con cui si produceva Arte nei secoli scorsi rispetto al “presunto” artista contemporaneo che ha come riferimento principalmente e solamente se stesso. Allora la funzione dell’Arte oltre al produrre il bello era quella di raccontare, comunicare idee puntuali e specifiche con un linguaggio comprensibile a tutti, pur nella capacità dell’artista di rielaborare continue variabili stilistiche. Oggi la ricerca esasperata di uno stile personale, il perseguire le esigenze soggettive rende molto difficile la funzione del comunicare, l’eccessiva libertà che si concede l’artista diventa la barriera che separa e non unisce con chi dovrebbe partecipare dell’opera d’arte. Ad aggravare questa solitudine, oggi, si sceglie anche il “brutto” sia come soggetto sia come risultato tecnico e stilistico e quindi l’effetto, il risultato, è respingente.
La mia percezione è un dialogo ….muto.
Corrado Mauri
– Le immagini dell’articolo sono tratte dal Catalogo dell’esposizione: a cura di Simona Bartolena, edizione BELLAVITE 2015